La politica energetica dell’Unione Europea

da | Mag 10, 2024 | Articoli | 0 commenti

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di Valeria Termini

Un quadro di sintesi
Ancora una volta, nel periodo appena trascorso (2020-22), si è palesata la centralità del l’energia nella storia. Il sistema energetico nel mondo si è trovato ad affrontare la più grave  crisi degli ultimi cinquant’anni, dopo gli shock petroliferi degli anni Settanta. In una pro spettiva europea, l’Europa ha sofferto la crisi più di altre regioni, come si mostrerà, ma  ha conservato la rotta di lungo periodo nel contrasto al cambiamento climatico.

La crisi pandemica e poi la guerra russo-ucraina hanno messo in luce l’impatto economico e le conseguenze sociali delle dinamiche energetiche, mostrando le criticità del loro  squilibrio per il benessere della popolazione dell’intero pianeta. La ripresa delle attività  seguita alla pandemia da Covid-19 nel 2021, dopo un anno di forzato arresto, ha mostrato  inoltre, se pur ce n’era bisogno, la stretta connessione tra l’attività umana e il riscalda mento del pianeta, ormai accertata dagli scienziati; ha reso palese la relazione tra il consumo e la produzione di energia da fonti fossili (carbone, petrolio e gas) e i cambiamenti  climatici attraverso le emissioni di CO2 nell’atmosfera.  La svolta militare impressa da Vladimir Putin, invece, richiede che il tema della tran sizione energetica sia affrontato in una nuova prospettiva nelle sue dimensioni globali.  L’Europa ne ha sofferto maggiormente, non solo perché colpita sul suo territorio, ma per  l’uso da parte di Putin come strumento di guerra del gas, il combustibile scelto dalla Com missione europea per accompagnare la transizione ecologica e per larga parte proveniente  dai gasdotti russi.  

In campo energetico l’invasione russa ha ferito così l’Unione Europea (UE) su due fronti:  la sicurezza energetica e il rischio climatico. Ha acuito cioè il difficile trade-off tra la necessità  di garantire la sicurezza energetica dei Paesi membri nell’immediato e quella di contrastare il  cambiamento climatico nel lungo periodo. Da un lato, è emersa l’urgenza di garantire la sicurezza di approvvigionamento delle fonti primarie di energia, oggi per la maggior parte fos sili (62% della produzione elettrica nei Paesi OCSE: IEA, Monthly electricity statistics,  https://www.iea.org/data-and-statistics/data-tools/monthly-electricity-statistics), diversifi cando le regioni di provenienza del gas per tamponarne la carenza nell’immediato, con ri percussioni geopolitiche di rilievo; dall’altro, ha confermato la necessità di abbandonare i com bustibili fossili per ridurre una dipendenza insostenibile dal gas russo. Ma, nella direzione  opposta, la guerra frena e allontana i tempi della transizione verso un mondo rinnovabile, poi ché l’emergenza gas ha spinto alcuni Paesi a ricorrere al carbone e a soluzioni inquinanti, oltre  

a distogliere fondi dagli investimenti innovativi per contrastare il cambiamento climatico.  La guerra ha posto interrogativi sulla crescita dell’economia, che nel 2021 aveva ini ziato a riprendersi dalla crisi pandemica, e sul suo impatto nelle diverse regioni. In molti Paesi dell’UE, tra i quali l’Italia, si è acuito l’indebitamento dei governi, impegnati nello  sforzo di temperare le conseguenze della crisi dei prezzi dell’energia su famiglie e imprese  (IEA, Fossil fuels consumption subsidies 2022, 2023, https://www.iea.org/reports/fossil fuels-consumption-subsidies-2022).  

Infine, ha creato una profonda frattura nel processo di definizione di un nuovo ordine  internazionale, essenziale per il contrasto al cambiamento climatico. La voce dell’UE, con centrata sui problemi interni in una governance politica incompleta, stenta a farsi sentire  nei nuovi scenari che si profilano. Mantiene però la barra sugli indirizzi di sostegno alle  fonti rinnovabili.  

Al di là dei rischi geopolitici, tuttavia, le fonti rinnovabili da sole non consentono certo  di portare a compimento la transizione ecologica del pianeta. La trasformazione energe tica richiede necessariamente il ricorso alla scienza, alle innovazioni e alle scoperte della  fisica, della biochimica, dell’informatica, settori nei quali il contributo scientifico avanza  oggi con una rapidità rivoluzionaria. L’urgenza di accelerare l’abbandono dei combustili  fossili per proteggere il pianeta, ovvero di utilizzare altre fonti e nuove tecniche di elet trificazione, si affida alle nuove scoperte scientifiche di cui si dirà, ma richiede in pro spettiva un governo globale e condiviso delle politiche sul clima. Non è affatto chiaro oggi  se prevarrà un salto in avanti verso nuovi equilibri di tolleranza multipolare cooperativa  o un confronto suicida tra le grandi potenze rivali.  

I fatti: la pandemia e la guerra
In Europa, come nel resto del mondo, la pandemia ha ridotto la domanda di energia  nel 2019-20, per l’arresto delle attività e dei viaggi, necessario per contenere il virus. Ne  è derivato un calo significativo delle emissioni di CO2 nell’atmosfera, mentre è aumentato  il peso relativo delle nuove fonti rinnovabili (solare ed eolico in particolare) rispetto a  quelle fossili. Questa dinamica ha fatto sperare in un’accelerazione del percorso di decarbonizzazione, espressa con chiarezza nelle parole di Fatih Birol, il direttore dell’Agenzia  internazionale dell’energia (IEA, International Energy Agency), che nel 2020 ha descritto  il decennio a venire come ‘il trionfo del re Sole’. Ma, dopo la pandemia, si è avuto il con traccolpo del riavvio delle attività. Nell’UE «la ripresa […] dell’economia […] – stima la  Commissione europea – è stata la più rapida dopo il boom del dopoguerra, con una cre scita del PIL reale del 5,4 % nel 2021» (Analisi annuale della crescita sostenibile, COM(2022)  780 final). Anche in Europa, le emissioni sono tornate a crescere del 5% nelle stime del l’IEA riportate dai Paesi membri, avvicinandosi ai livelli pre-Covid (IEA 2023). Si è  allontanato così l’obiettivo minimale di mantenere il riscaldamento del pianeta sotto i 2°  rispetto al tempo precedente la rivoluzione industriale. Questo tetto era stato fissato come  massimo valore tollerabile dai membri dell’International panel on climate change (IPCC),  il gruppo di scienziati di tutto il mondo coordinato dalle Nazioni Unite che dal 1988 ana lizza le cause, le prospettive e le conseguenze del cambiamento climatico. Dopo la pan demia, si è palesata la responsabilità delle attività umane – della produzione industriale,  dei trasporti, della generazione elettrica, dell’uso delle fonti fossili in generale, persino  della comunicazione via Internet – nell’accelerare il processo di riscaldamento del pianeta.  Nel 2022 il termometro atmosferico si avvicinava a +1,5°. Le emissioni di CO2 nel 2022  hanno raggiunto il livello record di 36,8 miliardi di tonnellate (di cui 34 miliardi dalla pro duzione di energia), superando dello 0,9% il 2021 e richiamando la necessità di interventi  globali concertati (dati IEA 2023).  

L’UE aveva contribuito con un nuovo indirizzo nel Green deal (dicembre 2019), raffor zando gli interventi dei Paesi membri con il REPowerEU (2022). Con la comunicazione del  Green deal, l’Unione era già tornata nella direzione di costruire un percorso globale per ridurre le emissioni: la via aperta nel 2015 a Parigi nella COP21 (Convention  Of the Parties), l’incontro sul clima dei capi di governo coordinati dalle Nazioni Unite  nell’ambito della United Nations framework convention on climate change (UNFCCC).  Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama e quello cinese Xi Jinping condivisero allora l’impegno ad assumere un ruolo guida nell’Accordo dei 192 Paesi lì riuniti, per defi nire la strategia globale di prevenzione, di adattamento e difesa di fronte alle devastazioni  provocate dal cambiamento climatico. Quell’incontro fece sperare il mondo.  

Dopo la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi  (nel 2017), la speranza si è poi riaccesa a Glasgow, quando Joe Biden ha riportato gli Stati  Uniti a giocare il loro ruolo nel percorso avviato nella COP26 del 2021, volta ad attivare  e monitorare gli impegni assunti dai singoli Stati nel 2015. Per contrastare il riscaldamento  del pianeta, i governi di tutto il mondo (la maggior parte dei 194 convenuti) ha definito  Piani energetici nazionali (NDCs, National Determined Contributions) compatibili tra loro,  che descrivono l’impegno degli Stati per la prevenzione e l’adattamento climatico, da sottoporre al vaglio della comunità internazionale. Gli scienziati dell’IPCC e dei gruppi di lavoro tematici hanno proseguito l’analisi in terdisciplinare al fine di costruire strumenti e politiche idonei per una transizione ecolo gica sostenibile nelle diverse regioni del pianeta, come la costituzione di un fondo globale  ricavato dall’imposizione di un prezzo sul carbonio, per contribuire alla transizione nel  Sud del mondo (cfr. Termini, Gironi, Iorio et al. 2021), approvata dal G7 del 2021 sotto  la presidenza italiana. Far fronte al costo del sostegno ai Paesi più poveri è diventata un’ur genza condivisa dagli Stati avanzati, che vivono la pressione di migrazioni bibliche alle  frontiere, di popolazioni in fuga da territori resi invivibili dalle condizioni climatiche; i  migranti che attraversano il Mediterraneo e cercano rifugio in Europa fuggendo dalle con dizioni insostenibili dell’Africa subsahariana sono un esempio tra i molti.  

Mancano ancora, è vero, istituzioni sovranazionali operative, in grado di rendere con creta l’attuazione dei programmi delineati con le Nazioni Unite. Tuttavia, la strada della  collaborazione multipolare sul contrasto al cambiamento climatico è stata avviata. E il pro cesso di transizione ecologica appare oggi inarrestabile. Ma i percorsi della storia seguono dinamiche per lo più impreviste, spesso imprevedibili. Uno di questi eventi, forse immaginabile, ma non previsto dai più, è stata, il 24 feb braio 2022, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e la guerra che ancora si com batte nel 2023, del tutto inattesa nei suoi risvolti energetici. L’impatto di questo nuovo evento sul sistema energetico europeo e mondiale è stato  enorme. Il gas è stato al centro della crisi, ha colpito la disponibilità di fonti primarie, i  prezzi dell’energia, la distribuzione geopolitica dei costi, infine le relazioni macroeconomiche globali, contribuendo a creare un’inflazione di durata ed entità inattese e un rischio di recessione nel mondo.  

Il gas strumento di guerra
Come si è detto, il gas è il combustibile fossile scelto dalla Commissione europea per ac compagnare la transizione energetica; si trova nella tassonomia definita dalla Commissione  delle fonti necessarie a garantire una transizione sostenibile (https://finance.ec.europa.eu/su stainable-finance/tools-and-standards/eu-taxonomy-sustainable-activities_en). È chiamato  a garantire la continuità dell’offerta di energia resa difficilmente programmabile dalla dif fusione delle fonti naturali (idriche, solari, eoliche), la cui produzione è soggetta alle con dizioni atmosferiche. Molto meno inquinante di carbone e petrolio, il gas è facilmente stoc cabile, ha un prezzo tradizionalmente meno volatile e meno esposto alla speculazione rispetto  al petrolio; è trasportabile anche via mare, si è quindi liberato dal vincolo dei gasdotti dopo la rivoluzione del gas naturale liquefatto (GNL) di inizio millennio; in estrema sintesi, è  assai efficiente nella funzione di fonte di riserva durante la transizione. Ma il gas è l’elemento individuato da Putin come strumento di guerra per colpire l’Occidente in un organo vitale, in particolare l’Europa.  

La risposta dell’Europa, posta di fronte alla dipendenza elevata dal gas russo accumu lata nei decenni precedenti (40 % delle importazioni), è stata tempestiva e unitaria; l’UE  ha prontamente attivato all’unanimità sanzioni alla Russia, regole per migliorare la soli darietà energetica tra i Paesi membri e finanziamenti per sostenere gli Stati più colpiti  dalla dipendenza dal gas russo (il citato REPowerEU: https://commission.europa.eu/stra tegy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal/repowereu-affordable-secure and-sustainable-energy-europe_it). Il sostegno finanziario dell’Unione ha consentito ai  singoli Stati di intervenire a supporto delle industrie energivore, le più colpite, e delle fa miglie; a questo si è aggiunto l’allentamento temporaneo dei vincoli agli aiuti di Stato e,  infine, la possibilità di agire con interventi fiscali degli Stati per calmierare gli extra pro fitti di distributori, venditori e produttori di energia, riconducibili ai prezzi esorbitanti  della materia prima.  

La regolazione energetica europea del decennio precedente, che aveva imposto il dop pio flusso nelle infrastrutture di gas dei Paesi membri e una politica di condivisione ener getica tra Stati confinanti, ha aperto la via alla solidarietà energetica tra i Paesi dell’UE. Con il perdurare del conflitto, tuttavia, l’impostazione solidaristica si è in parte sfal data ed è emersa la difficoltà di coordinare politiche unitarie tra Paesi che vivono condi zioni energetiche differenti; hanno pesato la carenza di istituzioni politiche comunitarie,  la mancanza di un bilancio comune europeo e l’unanimità nel voto richiesta nella maggior  parte delle decisioni.  

In un anno (2022) la politica di diversificazione delle fonti ha ridotto la dipendenza eu ropea dalla Russia, come rileva tra gli altri l’Oxford Institute on energy studies (OIES  2023). Il GNL, trasportato per nave ai rigassificatori europei, ha consentito di ricevere  gas dal Qatar, dal Mediterraneo, dall’Australia, dagli Stati Uniti. L’Unione Europea ha  potuto superare così l’inverno mite del 2022 riempiendo gli stoccaggi a livelli superiori  alla media degli anni precedenti (34%). Uno sguardo agli scambi mondiali conferma la  tendenza europea. Nel 2022 le esportazioni globali di GNL via nave sono ammontate a  542 miliardi di m3: dal Qatar 114 miliardi di m3 (circa 21%), dall’Australia 112 miliardi di  m3 (circa 21%), dagli USA 104 miliardi di m3 (20%) e solo 40 miliardi di m3 (7%) dalla  Russia. Il GNL è stato assorbito dall’Europa (170 miliardi di m3), dalla Cina (93 miliardi  di m3), dal Giappone (98 miliardi di m3), dall’India (28 miliardi di m3). Le esportazioni  globali di gas via gasdotti invece sono ancora superiori agli scambi di GNL e sono state  di 718 miliardi di m3 (di cui 378 verso l’Europa e 58 verso la Cina).  

Le esportazioni della Russia verso l’Europa sono crollate nel 2022, solo in parte com pensate dall’accresciuta domanda della Cina. Ma i picchi di prezzo hanno consentito a  Putin nello stesso anno di finanziare il bilancio militare, creando al contempo problemi  all’Occidente, all’Europa in particolare. Il gas ha continuato a essere esportato dalla Russia verso i Paesi che appartengono alla  Comunità degli Stati indipendenti ex sovietici (CSI) del Caucaso e Bielorussia (Armenia,  Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan, Moldova, Turkmenistan, Tagikistan e Uzbekistan),  attraverso i gasdotti che passano dalla Turchia (Blue Stream e TurkStream), dalla Cina  (Power of Siberia) e, in piccola parte, dall’Ucraina (Soyuz, Brotherhood), il cui contratto di  transito scade a fine 2024 (OIES 2023). Ma le esportazioni di gas russo nel complesso sono  scese in quantità da 185 miliardi di m3 nel 2021 a 100 miliardi di m3 nel 2023, e nelle previsioni della Commissione energia del Consiglio di Stato russo potrebbero scendere a 52 mi liardi di m3 nel 2023, dimezzandosi rispetto al minimo storico dell’anno precedente. 

Del crollo sono responsabili le sanzioni e la diversificazione delle fonti in Europa, ma  il calo della produzione russa è imputabile anche alle crescenti difficoltà di finanziare gli  investimenti progettati. La Cina ha aumentato le importazioni di gas e petrolio dalla Rus sia a prezzi convenienti e per estrarre gas destinato al Paese asiatico, nelle parole di Alek sej Miller, amministratore delegato di Gazprom, la Russia ha attivato un nuovo giaci mento di gas nella Siberia meridionale, in particolare a Kovykta vicino al lago Bajkal, il  più grande finora scoperto nella regione siberiana; ma i tempi sono remoti e le esporta zioni russe sono in stallo. Nel 2022, l’impegno russo nelle esportazioni di GNL è stato significativo ma insuffi ciente, raggiungendo i 46 miliardi di m3, circa la metà diretti in Europa. Cina e India hanno  aumentato le importazioni godendo di prezzi più bassi, ma non sono in grado di com pensare per la Russia la perdita del mercato europeo. I prezzi, tuttavia, narrano una storia diversa: per i Paesi europei il problema principale  nel 2022 è diventato proprio il prezzo del gas.  

Il prezzo del gas e il costo dell’energia elettrica  

Insieme al petrolio, il gas è la principale fonte di reddito per il bilancio russo, assotti gliato dalle sanzioni e dalle spese militari. A questa criticità si deve lo sforzo di Putin di  mantenere alto il prezzo e di attuare un’abile tattica di apertura e chiusura dei rubinetti  del gas verso l’Europa, per creare la maggiore incertezza possibile e una forte volatilità  del prezzo. L’incertezza attiva la speculazione e ha generato picchi di prezzo strabilianti con i quali  Putin ha in parte compensato la riduzione delle quantità esportate. È una tattica di guerra,  come quella di diversificare la sospensione del gas tra i Paesi membri dell’Unione per rom pere la coesione della strategia europea di lungo periodo, creando emergenze diverse. Ma,  come per le sanzioni, lo sforzo di Putin non ha avuto successo su questo fronte; nel l’emergenza, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europei sono riusciti a impe gnare gli Stati intorno a una strategia unitaria congiunturale e di lungo periodo, in parte  (nell’immediato) fondata sulla diversificazione delle fonti e l’acquisto del gas da altre re gioni, in parte (per il lungo periodo) proseguendo la via della decarbonizzazione aperta  dalla Commissione con il Green deal nel dicembre 2019, per sostenere la diffusione delle  fonti rinnovabili e accelerare la transizione. La politica è proseguita con gli stanziamenti attribuiti agli Stati per far fronte al l’emergenza di famiglie e imprese, dal Recovery and resilience facility (RRF: https://com mission.europa.eu/business-economy-euro/economic-recovery/recovery-and-resilience facility_en), deliberato nel febbraio 2021, al citato REPowerEU per sostenere la transizione ecologica nei singoli Stati. A ciò si sono aggiunte le proposte di intervento settoriale, come  il tetto alle emissioni nel settore automobilistico, l’impegno per investimenti in infra strutture per trasferire l’idrogeno – in futuro ‘verde’, ovvero prodotto da fonti rinnova bili – e per sostenere l’innovazione dell’industria privata, di cui si dirà. Ma nel 2022 il  prezzo dell’energia ha segnato il massimo momento di crisi per l’Unione Europea. Tra le  politiche per favorire la transizione ecologica che si sono succedute nel 2022-23 nell’UE  va poi ricordata la crescita della ‘finanza verde’, indirizzata a sostenere progetti di ricon versione ecologica dell’economia e innovazioni volte a contenere le emissioni di CO2 da  parte del sistema finanziario pubblico e privato.  

La concorrenza globale tra consumatori nella domanda di GNL – tra l’Europa, la Cina  e i Paesi Asia/Pacifico – ha contribuito a farne lievitare il prezzo. La criticità principale si  è avuta tuttavia con la volatilità attivata dalla speculazione sulla piazza europea. Cassa di  risonanza della politica putiniana di ritorsione sul gas in risposta alle sanzioni europee è stata la borsa del gas olandese, l’ormai noto TTF (Title Transfer Facility). Infatti, la quo tazione del TTF ha assunto il ruolo di indicatore di riferimento europeo per il prezzo del  gas (benchmark); ma il TTF non era sottoposto alle regole di vigilanza europea per la scarsa  dimensione degli scambi trattati; nel 2022 copriva solo il 30% delle transazioni di gas pro venienti dai gasdotti europei nord-occidentali e non intermediava gli scambi di GNL.  Inoltre, il TTF è partecipato dall’impresa russa Gazprom insieme a poche altre imprese.  La scarsa liquidità di questa borsa ha esposto il prezzo del gas in Europa a movimenti spe culativi importanti, i quali hanno contribuito a rendere ancor più volatile ed elevato il  prezzo in Europa: dalla quotazione di 20 euro per MWh del 2021, la quotazione sul TTF  è salita fino a sfiorare i 350 euro per MWh nell’agosto 2022, per scendere intorno ai 160  in settembre; un valore comunque ben lontano dalla soglia iniziale e soprattutto dalle quo tazioni del gas sulla piattaforma statunitense, l’Henry Hub, dove il prezzo spot ha rag giunto, nell’agosto 2022, la punta massima di 8,8 dollari statunitensi per milione di BTU  (British Thermal Unit; 25 euro/MW), per tornare a scendere nel 2023. Nell’agosto 2023, tornando a valori prebellici, il gas è stato quotato al TTF 31 euro/MWh.  La quotazione giornaliera del gas nella borsa del TTF ha avuto ripercussioni su tutto  il sistema energetico. In particolare, ne ha sofferto il costo dell’energia elettrica nei Paesi  membri, a causa dell’organizzazione delle borse elettriche europee. Infatti, dai tempi nei  quali il prezzo del gas era stabile e meno esposto ai cambiamenti repentini del petrolio, il  meccanismo di formazione del prezzo sulle borse elettriche è strettamente correlato al  prezzo del gas, attraverso il prezzo dell’ultimo impianto (sistema del prezzo marginale)  accolto in borsa: per es., nella borsa elettrica italiana il prezzo unitario nazionale, PUN  (cfr. https://www.mercatoelettrico.org/It/default.aspx), era strettamente connesso al TTF.  Solo nell’aprile 2022 il Regolatore italiano ha sganciato l’indice del gas per la borsa elet trica dal TTF, sostituendolo con l’indice italiano del Punto di scambio virtuale (PSV). A  distanza di un anno, il confronto tra i prezzi rende bene l’entità dell’impatto economico  nel nostro Paese: il costo in borsa dell’energia elettrica in Italia (il PUN) nell’agosto 2023  è stato di 105 euro/MWh, a fronte di un prezzo di 503 euro/MWh nell’agosto 2022. 

Lo stesso meccanismo ha generato l’aumento straordinario del costo dell’energia elet trica in tutta Europa, creando un dissesto economico e sociale grave per famiglie e im prese. Le politiche messe in atto dai governi per calmierare i prezzi dell’energia e soste nere l’onere straordinario dei cittadini hanno compensato solo in parte la difficoltà economica  e sociale provocata dai picchi di prezzo. Gli interventi del governo italiano, ad es. di so stegno finanziario e fiscale per i consumatori, famiglie e imprese, e la tassazione degli ex traprofitti delle imprese del settore energetico generati dai prezzi stellari del 2022, non si  sono rivelati adeguati, ma hanno pesato sulle casse dello Stato aumentando l’indebitamento pubblico. Lo stoccaggio elevato ha però consentito di superare l’inverno.  Solo nel luglio 2023, quando il prezzo del gas si era già ridimensionato come detto, la  Commissione europea ha presentato una proposta di revisione delle regole del mercato  elettrico, che dovrà passare al vaglio di Parlamento e Consiglio dopo l’estate. I tempi di  reazione europei si sono così rivelati troppo lunghi, mostrando ancora una volta la neces sità e l’urgenza di un passo avanti verso la coesione politica istituzionale che superi lo stallo  intergovernativo della governance attuale.  

La distribuzione dei costi: vincitori e perdenti  

Globalmente, la guerra, le sanzioni e l’impennata del prezzo dell’energia hanno con tribuito a fermare la ripresa economica, generando in Europa inflazione, che si è accom pagnata all’inflazione da domanda, inattesa negli Stati Uniti, causata da strozzature nel l’offerta di materie prime durante la ripresa postpandemica e alimentata dalla grande liquidità rilasciata dalla Banca centrale. Le ripercussioni macroeconomiche sono severe.  Hanno bloccato la ripresa dalla pandemia dell’Occidente e reso ancora più critica la via  dello sviluppo e della sopravvivenza nei Paesi più poveri, colpiti dal costo dell’energia,  dalla scarsità dei beni alimentari, dai disastri climatici. Globalmente si è generato un rischio di recessione, la temuta stagflazione, ricordo delle crisi petrolifere degli anni Set tanta. Le ripetute devastazioni, conseguenza di un clima inasprito, hanno inflitto nuove  difficoltà. L’esito è il rischio recessivo, l’ulteriore impoverimento delle popolazioni più  povere e, per i Paesi più ricchi, una pericolosa propensione a politiche protezioniste che  contrastano con l’urgenza di condividere soluzioni globali per compiere il salto necessario alla transizione ecologica.  La crisi energetica ha ferito l’economia globale. Ma il balzo del prezzo del gas ha pro vocato costi diversi, generando vincitori e perdenti: tra i primi gli Stati Uniti, divenuti  esportatori di gas e petrolio, hanno beneficiato della riduzione dell’offerta dalla Russia;  tra i secondi l’Europa, fortemente dipendente dalle forniture russe, ha pagato costi ele vati; in mezzo la Cina che ha goduto dei forti ribassi concessi da Putin, ma ha subito un  arresto delle politiche di transizione con il ricorso al carbone.  

L’Europa è stata la regione più colpita dalle conseguenze della guerra del gas, come pre messo; non solo per l’esposizione al prezzo, di cui si è detto; ma soprattutto per la ridu zione delle quantità importate dalla Russia necessarie a coprire la domanda interna. Errori  passati avevano fatto crescere la quota di gas importata dai gasdotti russi, più economici,  al 40% delle importazioni (scese al 9% nel 2023). Una dipendenza accentuata dalla politica  accomodante dell’allora cancelliera tedesca Angela Merkel nei confronti del vicino russo e  delle esigenze industriali di Berlino e, per altri motivi strumentali, dell’Italia. Questa scelta  ha lasciato alla Germania un’eredità drammatica: la dipendenza quasi totale dai gasdotti  russi (80% dei consumi interni) e la mancanza di infrastrutture alternative per diversificare  le importazioni e accogliere dal mare il GNL, disponibile dalle grandi riserve di gas del  Mediterraneo, dal Qatar, dagli Stati Uniti e dal resto del mondo; in questo la Germania si  differenzia da Spagna e Italia (che pure ha accumulato una rilevante dipendenza dal gas russo, il 38% dei consumi nel 2021), Paesi europei importatori di gas che si sono dotati nel  tempo di rigassificatori del gas liquefatto (l’Italia, pure dipendente dal gas russo, ne di spone di 4, ai quali si aggiungerà il rigassificatore di Ravenna; la Spagna di 11).  

La difficile condizione energetica affrontata dai Paesi dell’Unione Europea si inserisce  negli scenari globali; si colgono così la pressione e le dinamiche internazionali all’interno  delle quali l’UE ha trovato un impedimento ad assumere il ruolo e la voce politica di mediazione internazionale che le competono. Tutto ciò viene ad aggiungersi alle criticità connesse alla mancanza di un passo avanti nell’unificazione politica dell’UE, concentrata sugli  aspetti difensivi e sulla strategia di lungo periodo per contrastare il cambiamento climatico. La difficoltà connessa alla guerra del gas in Europa va confrontata con lo scenario  delle altre regioni che del gas sono grandi consumatrici.  Ben diverso è stato l’impatto del prezzo del gas sugli Stati Uniti, dove la produzione  nazionale di shale gas, attivata all’inizio del millennio, li ha resi indipendenti. Le scoperte  di shale gas e shale oil all’inizio degli anni Duemila hanno reso di recente gli Stati Uniti  esportatori netti di gas e petrolio. In un decennio gli Stati Uniti hanno più che raddoppiato la produzione di greggio e aumentato di un terzo quella di gas, diventandone i mag giori produttori. L’alto prezzo di queste fonti, al di là della responsabilità nell’accentuare  la spinta inflazionistica, costituisce dunque una sorgente di profitto inatteso per i pro duttori statunitensi e per la finanza. In secondo luogo, come sempre accade purtroppo, le  spese militari rafforzano l’economia statunitense; mentre la guerra si svolge su un terri torio lontano e, come stabilito, non coinvolge sul terreno forze militari americane. Il dol laro si è rivalutato sull’euro nei mercati finanziari internazionali, indicando una situazione  lontana dalla crisi europea.  

Il terzo blocco di grandi consumatori di gas russo comprende la Cina e l’Asia. La Cina  aveva predisposto un percorso severo per ridurre le emissioni di CO2 al 2060; ma la guerra  del gas l’ha posta di fronte a scelte difficili: seppure scontato da Putin, il prezzo del gas è  elevato e la sicurezza energetica ha richiamato in campo il carbone (oggi copre il 60% delle  fonti primarie di energia), oltre a riattivare gli investimenti per rafforzare il nucleare a di scapito delle rinnovabili. Mantenere il piano di decarbonizzazione richiede un ridimen sionamento drastico della crescita, in contrasto con il programma del XX Congresso na zionale del Partito comunista cinese (ottobre 2022), mentre nella regione si è acuita  l’instabilità sociale. Il ‘rischio Taiwan’, crisi ricorrente, si è riaffacciato minaccioso. Nello  scenario globale del gas che affronta oggi l’Europa, l’Asia offre un quadro articolato e le  conseguenze sono diversificate. Per alcuni Paesi della regione i prezzi stellari del gas sono  devastanti; esiste un rischio concreto che la povertà energetica alimenti sollevazioni po polari e instabilità sociale (come in Sri Lanka), o azioni inconsulte da parte di governanti  dotati di armi nucleari (Pakistan); l’India ha aumentato invece il contributo del petrolio,  rendendo ancor più difficile il percorso di decarbonizzazione concordato a Glasgow  (COP26). Questi Paesi non hanno infrastrutture per accelerare la transizione energetica  o per approvvigionarsi con gas liquefatto via nave: la crisi del mercato energetico provo cata dalla guerra li investe direttamente, creando condizioni di povertà energetica. I Paesi  del Golfo, a loro volta, guidati dall’Arabia Saudita, faticano a mantenere l’efficacia della  politica di monopolio dell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) per  il petrolio, sia perché la ripresa della produzione statunitense proveniente dalle piccole  imprese di shale oil, elastica al prezzo, ne vanifica gli sforzi, sia per la relativa emargina zione del petrolio tra i combustibili fossili.  Infine, i Paesi poveri dell’Africa, fortemente indebitati, sono stati colpiti dalla carenza  di energia e di risorse alimentari, nonché da un impatto climatico devastante. Un nuovo  equilibrio internazionale non può non farsene carico.

Tra gas e rinnovabili: quali aspettative

Il futuro del gas è controverso Ci si può aspettare nel lungo periodo un ridimensiona mento permanente della domanda di gas del 5-6% secondo l’Oxford Institute for energy  studies, dovuto in parte alla guerra, in parte all’impatto delle politiche di Biden per so stenere la produzione di fonti rinnovabili, a partire dall’Inflation reduction act (IRA, ago sto 2022, https://www.whitehouse.gov/cleanenergy/inflation-reduction-act-guidebook/),  con le quali l’UE ha difficoltà a confrontarsi. L’IRA ha riversato finanziamenti cospicui  per il prossimo decennio sulla transizione ecologica. Altri studiosi (per es., A. Clò, An cora sugli ostacoli alle rinnovabili, «Energia», 25 ag. 2023, https://www.rivistaenergia.it/  2023/08/ancora-sugli-ostacoli-alle-rinnovabili/) vedono invece una risalita del consumo  di idrocarburi per la ripresa degli investimenti del settore. Ma nei dati dell’IEA il trend  di decrescita dei fossili sembra confermato, dopo anni di aumento dell’impegno nelle fonti  naturali. Nella figura 2 il confronto è evidente: investimenti in tecnologia di fonti non in quinanti: 1,7 trilioni di dollari nel 2023; investimenti in tecnologie per fonti fossili 1,05  trilioni di dollari.

Contrariamente alle aspettative secondo cui i prezzi del gas più bassi avrebbero inne scato una ripresa, in Europa (UE27 + Regno Unito), la domanda di gas è diminuita dell’11%  nei primi sei mesi del 2023 (−27 miliardi di m3). Questa evoluzione è stata in gran parte  trainata dal calo dell’uso di gas per la produzione di energia elettrica (−18%). Naturalmente il percorso della transizione non è lineare: è legato ai salti della tecnolo gia, oggi per la maggior parte incrementale e dedicata alla riduzione dei costi (dei pannelli  solari, dell’eolico off-shore, delle reti tra gli altri); ma anche rivoluzionata da nuove tec nologie di rottura, di cui si farà cenno, tra le quali la più rilevante è il nucleare di ultima  generazione, in grado di riciclare le scorie.  

Quanto alla distribuzione dei consumi, la maggior parte (circa l’80%) della crescita della  domanda di gas nel prossimo decennio (stimata in circa 400 mm3) è attribuita alla Cina e  al Medio Oriente, seguiti dai Paesi dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations)  e del Sud-Est asiatico, nonostante il carbone abbia intaccato la domanda di gas per industria e produzione elettrica. In alcuni Paesi dell’Asia l’investimento in miniere di carbone ha ripreso vigore.  scente, soprattutto verso l’Europa, dove il contributo del carbone dovrebbe ridimensionarsi accentuando l’importanza dei passaggi marini nel commercio internazionale, per i quali il Pacifico orientale desta massima preoccupazione geopolitica. Globalmente, tuttavia, è atteso un eccesso di produzione di gas rispetto alla crescita dei consumi, destinato a calmierare il prezzo (OIES, luglio 2023). Il contenimento della domanda di gas in Europa nei principali settori, nonostante il contrarsi del prezzo, mostra che l’insieme dei fattori di incertezza che hanno colpito i mercati europei con la guerra sono resistenti ai segnali di prezzo nel breve periodo. La domanda di gas continua a ridursi (fig. 3).
In una prospettiva di fine del conflitto il futuro del gas russo diretto in Europa trova un vincolo nelle infrastrutture, al di là delle decisioni politiche; l’OIES (2023) stima che «il livello massimo disponibile sarà di circa 75 miliardi di m3 l’anno, e ciò sarà possibile solo in uno scenario politico postbellico molto favorevole».
Da notare infine che la riduzione delle esportazioni ha importanti conseguenze finanzia rie per la Russia. Nel giugno 2023, in coincidenza con la rivolta dei mercenari del gruppo Wagner guidati da Evgenij Prigožin (vittima in agosto di un incidente aereo), la svaluta zione del rublo si è accentuata, seguita dal crollo di luglio e agosto. Ėl´vira Nabiullina, go vernatrice della Banca centrale russa, ha attribuito agli scambi con l’estero l’andamento del rublo, che nel 2022 aveva beneficiato di un alto valore delle esportazioni e importazioni con tenute, una condizione opposta a quella del 2023. A fronte del ‘crollo di ferragosto’, la Banca centrale ha portato il tasso di interesse centrale a 12,5%, dal valore stabile precedente di 7,5%, registrando un peggioramento straordinario delle ragioni di scambio. Ad aggravare la si tuazione contribuisce l’uscita di capitali dalla Russia segnalata da Alex Isakov (2023).

Fonti rinnovabili e clima

Sul contrasto al cambiamento climatico l’Europa ha continuato a essere presente. La European climate law (luglio 2022) ha fissato l’obiettivo di raggiungere la neutralità cli matica nel 2050 e di ridurre le emissioni nette di gas inquinanti del 55% rispetto al 1990. Nel pacchetto Fit for 55 (aprile 2023) la Commissione ha specificato gli obiettivi al 2030: la quota di fonti rinnovabili dovrà salire al 40% e si dovrà ottenere una riduzione dei con sumi di energia del 9% rispetto al 2020. Obiettivi ancora più alti erano stati stabiliti nel piano REPowerEU: al 45% la quota di rinnovabili nel consumo di energia e un aumento del 13% nell’efficienza energetica, accompagnata da un accordo per la riduzione volonta ria del consumo di gas del 15% in corso d’anno.
Nell’Europa a 27 il maggiore contributo delle fonti rinnovabili si registra nella produ zione elettrica – eolico al Nord e solare al Sud –, mentre per i trasporti e l’industria pesante il passo è decisamente più lento; ma gli indirizzi della Commissione sono proseguiti in quella direzione, anche nella distribuzione di fondi vincolati alla decarbonizzazione dei consumi.
La riduzione dell’intensità energetica e delle emissioni di carbonio implica rinnovata attenzione all’efficienza energetica, nella quale l’Europa eccelle, e un forte impegno a li vello di investimenti nelle infrastrutture per facilitare la diffusione delle rinnovabili, un aspetto sul quale l’Italia è in buona posizione per gli investimenti pregressi nelle reti di distribuzione a doppio flusso, essenziali per consentire all’elettricità generata in eccesso da fonti naturali locali di essere rimessa in rete e rivenduta centralmente.
L’ottica globale è essenziale in questo ambito, poiché il contributo europeo alle emis sioni è molto ridotto rispetto a Cina e Stati Uniti. Riuscire a diminuire il flusso di emis sioni di CO2 e a ridurre lo stock di biossido di carbonio accumulato nell’atmosfera richiede infatti una globalità di interventi mirati che è difficile quantificare. Come accennato, dopo la svolta impressa dalla guerra anche il tema della transizione energetica deve essere af frontato in una nuova prospettiva nelle sue dinamiche globali. Con il perdurare della guerra in Ucraina, tuttavia, diventa ancor più difficile formulare previsioni sulle politiche di pre venzione e adattamento al cambiamento climatico le cui conseguenze colpiscono il pia neta con frequenza e intensità crescenti.
In estrema sintesi di quanto analizzato sopra, l’invasione russa accentua le differenze tra le politiche industriali all’interno dell’Occidente, in particolare tra Stati Uniti ed Europa, diversamente colpiti dalla crisi energetica e dal sostegno dei governi. La nuova ca pacità di produzione elettrica e di generazione effettiva da fonti rinnovabili aumenta comunque in modo consistente, superando nel mondo i 400 GW nel 2022-23, come riportato nella figura 4.Anche la generazione elettrica cresce: nel 2021 aveva raggiunto i 7858 TWh, dei quali l’idroelettrico con il 55%, seguito dall’eolico (23%), dal solare (23%), dalla bioenergia (8%) e dalle fonti geotermiche e marine (1%).

Le nuove filiere energetiche: rischi e prospettive

La trasformazione energetica determina vincoli e rischi geopolitici diversi dal passato, poiché ognuno dei tasselli rilevati crea una nuova filiera industriale. Variano i minerali cosiddetti critici, i processi di estrazione e raffinazione, le aree geografiche di provenienza di materie prime e semilavorati e le loro lavorazioni. L’obiettivo dell’Europa e dell’Occidente in generale è di non ricadere in una nuova forma di dipendenza da singole regioni del pianeta. Oggi, l’estrazione dei minerali essenziali è altamente concentrata nel cosid detto triangolo delle materie critiche tra Cina, Paesi asiatici del Pacifico, Africa centrale
e America Latina, sui quali la Cina ha già costruito un dominio economico. La concentrazione delle risorse è in Cina (grafite, terre rare), in Cile (rame e litio), nella Repubblica Democratica del Congo (cobalto), in Indonesia (nichel) e in Sudafrica (pla tino, iridio), che sono gli attori dominanti per l’estrazione, ai quali si aggiunge l’Austra lia per il litio. La lavorazione è ancora più concentrata geograficamente, con la Cina che rappresenta oltre il 50% della fornitura mondiale raffinata di grafite (naturale), disprosio (una terra rara), cobalto, litio e manganese. L’agenzia delle Nazioni Unite preposta allo studio delle fonti rinnovabili ha tracciato il perimetro del cambiamento. L’industria mineraria, infine, è dominata da poche grandi aziende con i rischi connessi alla ricostruzione di mercati oligopolistici. L’insieme delle catene del valore delle nuove fi liere energetiche risulta così fortemente concentrato, con pochi soggetti che controllano una parte significativa della produzione e del commercio globale. Le prime cinque società mi nerarie controllano il 61% della produzione di litio e il 56% di quella di cobalto. È un nuovo oligopolio, diverso rispetto a quello del petrolio che abbiamo conosciuto nel Novecento.

Le catene del valore per la produzione di fonti rinnovabili – dalle materie critiche ai se miconduttori per le batterie ai componenti per produrre idrogeno verde – concentrate nel triangolo Asia/Pacifico, Africa centrale e America Latina, in Paesi in larga parte control lati dalla Cina, creano una nuova sfida geopolitica. La Cina, inoltre, divenuta leader mon diale nell’estrazione e produzione di materiali nelle nuove filiere energetiche rinnovabili, ha costruito un nesso tra catene energetiche e catene alimentari che rafforza il controllo cinese sui Paesi meno sviluppati. L’assenza di un governo globale e di istituzioni sovra nazionali operative aumenta il rischio di queste dinamiche per l’Occidente (sulle quali si rinvia all’analisi dettagliata di M. Meidan, How China thinks about energy security under the energy transition, in OIES 2023, pp. 6-10).
La principale difesa dalla vulnerabilità di una dipendenza politica dai Paesi estrattori e produttori di materie prime e semilavorati passa attraverso l’innovazione tecnologica. Il supporto pubblico nella ricerca di base diventa cruciale, ma il debito elevato che investe tutti i governi, a partire dagli Stati Uniti, rende più fragile la macroeconomia e la crescita.

L’Europa si prepara alla sfida posta dalle nuove filiere tecnologiche. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato nel discorso sullo stato del l’Unione del settembre 2022 i Piani di azione della Commissione per l’approvvigiona mento di materiali critici e per un’industria a emissioni zero (resi pubblici nel marzo 2023), fissando obiettivi conformi alle linee del Green deal (2019). L’ambizione è quella di de lineare una politica energetica industriale europea e le linee per la sicurezza di approvvi gionamento delle nuove catene industriali, con particolare riferimento all’acciaio, ai set tori automobilistico, meccanico, elettrico, elettronico, immobiliare, anche in risposta all’imponente piano di investimenti introdotto negli Stati Uniti con il già citato Inflation reduction act. Tra gli obiettivi rilevanti vi sono l’impegno a estrarre all’interno dell’UE almeno il 10% delle materie prime strategiche entro il 2030 (oggi la proporzione è ferma al 3%) e quello di garantire lavorazione e raffinazione dei materiali per il 40% all’interno dell’UE (oggi tra lo zero e il 20%), mentre non più del 65% del consumo annuo dell’UE potrà provenire da un unico Paese terzo. Le azioni al riguardo sono volontarie per i sin
goli Stati membri. Infine, sul piano amministrativo, di particolare interesse per l’Italia, i Piani europei impongono procedure di autorizzazione semplificate per i progetti strate gici individuati e un sostegno finanziario europeo.
Un’ultima annotazione riguarda la potenziale fragilità che si apre con la nuova era. Alle difficoltà create dalla guerra che ha reso più costosa la transizione energetica si aggiun gono le difficoltà tecniche e i costi finanziari richiesti dalla cybersecurity nel processo di elettrificazione diffusa. Per l’Europa questi rischi – di una condizione di dipendenza ac centrata e per di più controllata dalla Cina – possono diventare un freno alle politiche di decarbonizzazione, come rilevato a più voci in OIES 2023.

Scienza e innovazione

Al di là dei rischi geopolitici, le fonti rinnovabili da sole non consentono certo di por tare a compimento la transizione ecologica del pianeta. La trasformazione energetica ri chiede necessariamente il contributo della scienza e di processi innovativi per accompagnare la transizione ecologica: della biochimica, in primo luogo per la trasformazione dei materiali; della fisica anche per lo stoccaggio di energia; dell’ICT per le connessioni e il trasporto. La conservazione dell’energia elettrica nelle batterie, la cattura e il riutilizzo del biossido di carbonio, la produzione di energia dal riciclaggio dei rifiuti, l’utilizzo di reti intelligenti per distribuire e controllare la produzione locale di elettricità, lo stoccaggio di energia elettrica sono essenziali al processo di trasformazione verde dell’economia e delle abitudini sociali delle popolazioni del pianeta. Alle fonti rinnovabili naturali si vanno aggiungendo fonti diverse, intorno alle quali la ricerca scientifica ha attivato nuove tecniche e i processi innovativi – tra gli altri l’uso della geotermia a bassa entalpia, l’idrogeno verde, il vettore energetico ricavato da fonti rin novabili con processi di elettrolisi in impianti sperimentali per la mobilità ferroviaria, oltre all’applicazione industriale in settori hard to abate, fino al nucleare di 4a generazione del quale sarà possibile neutralizzare e utilizzare le scorie radioattive, per citare le soluzioni più dirompenti. L’Italia è sulla frontiera tecnologica in alcune di queste soluzioni. A ti tolo esemplificativo, si ricorda l’impegno di New-cleo, l’impresa con sede a Torino che ha in corso la sperimentazione di piccoli impianti nucleari le cui scorie potranno essere riciclate e la cui commercializzazione è prevista nel 2032 dal Regno Unito, essendo proi bito il nucleare in Italia dopo i referendum. La 3Sun, con sede a Catania, ha rivoluzio nato la produzione, l’efficienza e il costo dei pannelli solari, divenuti competitivi con quelli prodotti in Cina; infine si ricordano le potenzialità dell’uso diretto della geotermia a bassa entalpia per ottenere riscaldamento e raffreddamento a costi contenuti rispetto all’uso geo termico ad alte temperature, di cui l’Italia dispone in grande quantità e ha una tradizione di leadership dai tempi dei primi impianti nel mondo, sperimentati a Larderello, in Toscana, nel 1904.

Anche nel settore dei trasporti su strada l’innovazione procede; ma i tempi risentono della necessità di consentire alle imprese automobilistiche l’ammortamento delle filiere esisten – ti. Di rilievo sono infine i progressi nella cattura e nel riutilizzo della CO2 prodotta nella generazione elettrica, nell’industria e nei trasporti (CCUS, Carbon Capture, Utilisation and Storage). La CO2 può essere utilizzata sul posto, oppure trasportata via tubi, via mare o via terra e utilizzata altrove direttamente con trasformazione chimica o indirettamente, oppure compressa in grandi serbatoi sotterranei, bacini di gas e petrolio. Un esempio valo rizzato dalla IEA è nel Mare del Nord, dove l’impegno recente in infrastrutture di trasporto ha prodotto il primo progetto di Greensand, in Danimarca, attivo da marzo 2022; la CO2 prodotta lungo la costa europea viene trasportata, compressa e stoccata nel Mare del Nord.
Prospettive e pericoli futuri
Come si è visto, la guerra e i processi di trasformazione energetica hanno ridisegnato la geopolitica dell’energia rispetto al secolo precedente; è profondamente mutato lo sce nario nel quale si muovono i nuovi passi per rafforzare la costruzione politica dell’Unione Europea. Nel Novecento si erano contrapposti nel mondo dell’energia i Paesi grandi con sumatori di gas e petrolio ai Paesi produttori e ai Paesi di transito. Tra i primi, Europa, Stati Uniti, Cina erano i maggiori importatori; i produttori erano per lo più riuniti nel l’OPEC, in Medio Oriente e nel Golfo Persico.
Il quadro è cambiato nel nuovo millennio. L’Europa è rimasta fortemente dipendente dalle importazioni di idrocarburi, mentre le scoperte e la diffusione di shale gas e tight oil negli Stati Uniti hanno reso il Paese indipendente; il potere di mercato dell’OPEC si è ri dotto in modo consistente grazie all’elasticità delle nuove imprese statunitensi, in grado di aumentare rapidamente l’offerta quando il prezzo è elevato. Inoltre, con il GNL che viaggia per nave, il monopolio regionale dei gasdotti si è ridotto e il trasporto per mare ha creato un mercato globale del gas. Si sono affiancati nuovi grandi produttori di GNL, il Qatar e l’Australia, che con gli Stati Uniti riforniscono l’area del Pacifico e oggi l’Europa, in concorrenza tra loro. L’UE ha mantenuto la via di politiche di decarbonizzazione aperta con il Green deal, pur dovendo affrontare una forte dipendenza dalle importazioni di fonti primarie, in particolare dal gas russo.
Nel decennio in corso, il sistema di produzione e il mercato dell’energia sono cambiati di nuovo radicalmente per la guerra in Europa e l’accresciuta consapevolezza che i disa stri climatici sono strettamente connessi all’uso dei combustibili fossili.
Tra i cambiamenti di rilievo del biennio trascorso, è stato l’uso del gas come strumento di guerra da parte di Putin, che ha diviso l’Occidente sul piano energetico. I Paesi del l’UE hanno affrontato la maggiore sofferenza, non solo per la riduzione delle quantità di gas esportate dalla Russia, dalle quali dipendeva per il 40% delle importazioni, ma so prattutto per l’esplosione del prezzo, che in Europa è stato accentuato dagli scambi sulla borsa olandese del gas (il citato TTF) e dalla speculazione su quel mercato, che ha costi tuito l’indicatore principale del prezzo europeo. Scelto dalla Commissione per accompa gnare la transizione energetica e garantire continuità energetica per una transizione so stenibile, il gas, il meno inquinante tra i combustibili fossili e il più stabile nel prezzo, si è trasformato in Europa nel detonatore dell’esplosione del prezzo dell’energia elettrica in tutti i settori. Ha diviso UE e Stati Uniti, esportatori di GNL, la cui industria ha goduto dell’elevata domanda globale e del differenziale di prezzo tra il TTF e l’Henry Hub, la borsa statunitense del gas.
Due pericoli si sono delineati come conseguenza per i Paesi europei e non solo. Il ri schio dell’autarchia è il maggiore in questa situazione conflittuale, come ci insegna la sto ria europea; poiché dopo la risposta unanime nella reazione iniziale alla guerra, i singoli Paesi tendono a generare risposte nazionali, anche incompatibili tra loro. Il secondo ri schio è quello che si stabilizzi un trade-off tra sicurezza energetica e decarbonizzazione. Queste difficoltà hanno indotto la Commissione a emanare direttive specifiche e a con sentire tra l’altro interventi dei governi dei Paesi membri a sostegno di famiglie e imprese per far fronte alla crisi energetica.

Misure che hanno acuito la posizione debitoria dei go verni, rendendo più fragili le economie.

In ottica geopolitica, al contrasto tra Stati Uniti e Cina si è aggiunta una nuova divi sione del mondo, esasperata dalla guerra, che ha attivato processi di deglobalizzazione, di cosiddetti de-risking e di friend-shoring, con un pericoloso rigurgito di protezionismo nei singoli Stati. Ne soffrono tutti: l’Unione Europea, in affanno, fatica a compiere il passo politico di unificazione tra i Paesi membri che ne renderebbe autorevole la voce di mediazione politica; sono colpiti la crescita e gli scambi nel commercio internazionale e con essi le regioni e i gruppi sociali più deboli. Abbiamo visto tuttavia che questa propensione alla deglobalizzazione contrasta nettamente con le dinamiche della transizione ecologica; le nuove filiere di produzione di energia rinnovabile richiedono l’uso di materiali con centrati nel ‘triangolo delle materie prime’ – Estremo Oriente, Africa centrale e America Meridionale – per lo più controllati dalla Cina; gli scambi sono ineludibili ed esasperano i rischi geopolitici e la vulnerabilità dell’Occidente.
In questa ottica l’Unione Europea si prepara a raggiungere nei prossimi decenni una nuova indipendenza energetica industriale; tra il 2020 e il 2022 la Commissione ha varato un numero consistente di misure atte a ridurre l’importazione di minerali e materiali critici essenziali per il nuovo indirizzo di decarbonizzazione dell’economia, a promuovere la produzione interna di semilavorati che oggi importa dall’Oriente, a costruire alleanze industriali tra i Paesi membri per settori cruciali, l’alluminio in primo luogo; ha approvato l’erogazione di fondi vincolati alla crescita delle fonti rinnovabili per arrivare a una economia a zero emissioni al 2035, ha previsto infine una riduzione del consumo di gas nei Paesi membri. È da notare che la barra dell’UE è rimasta dritta per il lungo periodo a contrastare il cambiamento climatico, nella difficile transizione resa impervia dall’emergenza gas. L’Eu ropa si affida oggi alla scienza per sperimentare nuove fonti energetiche e nuovi processi di generazione elettrica, ai quali l’Italia contribuisce con importanti esempi di innova zione. Il Mediterraneo torna ad assumere una centralità nuova e diversa; dopo essere stato negletto dalla politica estera statunitense, ha rafforzato i rapporti energetici e lo scambio commerciale di idrocarburi e grano con Russia e Cina. Con la guerra si sono formate al leanze inattese in Medio Oriente tra Arabia Saudita e Iran e persino Israele, mentre Tur chia ed Egitto hanno costruito nuove sponde. L’Italia si trova al centro di una possibile connessione con il resto dell’Europa, una posizione che deve potenziare con interventi in frastrutturali nazionali – la logistica dei porti in primo luogo – rafforzando l’indirizzo uni tario del Paese tra Mezzogiorno e Settentrione. Altri cambiamenti nell’organizzazione economica e altri rischi si profilano tuttavia al l’orizzonte, per i Paesi europei e non solo. Con la diffusione dell’elettrificazione cambiano il mondo del lavoro e l’organizzazione sociale; si accentua ulteriormente il peso dei ser vizi rispetto alla produzione industriale nella crescita economica. Il sostegno pubblico, necessario ad accompagnare i grandi cambiamenti della società nella transizione ecolo gica, aumenta il debito dei governi, alleviato dall’inflazione ma reso più aspro dal rialzo dei tassi di interesse da parte delle Banche centrali per combattere l’inflazione. La reces sione è temuta nell’Occidente, mai sventata del tutto, e i contrasti sociali ne sono un ine vitabile corollario. Anche la Cina, pur rafforzata dalle nuove filiere energetiche, si trova oggi ad affrontare altre vulnerabilità interne, di crescita economica e tenuta sociale, ed esterne, nel possibile contrasto con Taiwan.

Altri pericoli si palesano tuttavia all’orizzonte nella grande trasformazione energetica, primo fra tutti il rischio di interferenze informatiche, che l’elettrificazione diffusa estende ad altri ambiti, economici, politici e sociali (cfr. l’analisi di S. Vakulenko, Marriage of in convenience – how the war in Ukraine is tying Russia to the Chinese market, in OIES 2023, pp. 52-55).
Il passaggio nei mari tra Occidente e resto del mondo e l’accesso alle nuove tecnologie diventano il vero terreno di confronto e di scontro di questo millennio. La scienza infatti è cruciale nel modificare le dipendenze dell’Occidente; innovazioni radicali e incrementali riducono i costi della transizione e aprono nuovi percorsi. Nel dramma di queste dinamiche si riesce a leggere tuttavia anche un aspetto positivo della forzata transizione ecologica. L’urgenza di attivare un processo di trasformazione energetica che renda l’umanità compatibile con il futuro del pianeta è un elemento di comune interesse tra Stati e regioni lontani tra loro per storia, spinte egemoniche, cultura, livello di crescita. La ricerca di soluzioni necessariamente globali può indurre comporta menti di solidarietà e condivisione; deve guidare i governanti a far propria la responsabilità collettiva che trascende i limiti del mercato e della concorrenza, per superare visioni del mondo idealmente contrapposte nella ricerca di soluzioni comuni. Gli scienziati ci mo strano che il ritardo sul clima è incolmabile. Ma la lotta al cambiamento climatico può di ventare l’elemento unificante, un interesse condiviso dai grandi del mondo, che contri buisce a superare l’attuale scontro tra potenze. Obiettivi condivisi sul clima potrebbero coagulare intorno a essi un percorso di compromessi propedeutico a ricostruire un nuovo ordine internazionale.

 

BIBLIOGRAFIA
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