I tre fallimenti storici del neoliberismo

da | Ott 30, 2023 | Articoli | 0 commenti

Condividi

Questione ambientale, disuguaglianze, democrazia. E anche l’assunto per cui il mercato lasciato a se stesso favorisca crescita e innovazione è fortemente messo in dubbio. Storia di una dottrina in profonda crisi

di Emanuele Felice

Il pensiero neo-liberale è oggi in crisi, alle prese con tre fallimenti storici: la questione ambientale; l’aumento delle disuguaglianze nel mondo avanzato; il fatto che i nuovi giganti economici, a cominciare dalla Cina, non sembrano interessati a quell’evoluzione democratica per loro auspicata.

In realtà anche il cuore economico del neo-liberalismo, l’assunto per cui il mercato lasciato a se stesso favorisce crescita e innovazione meglio di un’economia mista, non è affatto scontato: diversi studi sull’innovazione evidenziano invece l’importanza del pubblico, da affiancare al privato; altri osservano che eccessive disuguaglianze frenano la crescita economica e incoraggiano la rendita; e ovviamente la crisi economica del 2008 ha per primo imputato proprio la deregolamentazione dei mercati finanziari, e ha fatto tornare in auge l’intervento pubblico quantomeno per stabilizzare il ciclo economico (e anche la democrazia).

Più in generale, e sul lungo periodo, l’evidenza storica mostra che solo nei casi estremi (come la collettivizzazione forzata, o livelli di tassazione esorbitanti) l’intervento pubblico comprime inevitabilmente la crescita. Ma in tutte le altre situazioni il responso è incerto: dipende dai casi, dai contesti. Vero che la liberalizzazione del commercio, degli investimenti e delle persone, risulta in genere positiva per l’economia, a livello aggregato: ma questa non è una prerogativa dei neo-liberali, rispetto ad esempio al liberalismo progressista di Keynes (anzi, il neo-liberismo ha favorito i movimenti di capitale a breve termine, a scapito degli investimenti industriali che sono invece i più vantaggiosi, perché diffondono innovazione).

Lasciamo comunque la questione economica in sospeso, perché c’è dibattito. E veniamo invece ai tre problemi su cui vi è ormai un certo consenso fra gli studiosi. Intanto, chiariamo che visto in questa luce il neo-liberalismo (o neo-liberismo, è lo stesso) non è solo e non tanto una dottrina economica, ma una vera e propria filosofia politica: difatti si chiama neo-liberalismo perché, per i suoi sostenitori, rappresenta una riproposizione in forma nuova del liberalismo, che pure era, ed è, una filosofia politica e morale.

Per i neo-liberali, dagli economisti pionieri come Friedrich von Hayek (il suo libro più conosciuto, “The Road to Serfdom”, è del 1944 e parla dei rischi dell’intervento pubblico per la tenuta delle democrazie liberali), ai più noti leader politici a partire da Reagan e Thatcher, questa dottrina avrebbe dovuto inverare, attraverso il libero funzionamento del capitalismo di mercato, le grandi promesse del liberalismo: più benessere e da lì più diritti, per tutti. L’ideale dell’arricchimento individuale, come porta d’accesso alla felicità, è anche la chiave per arrivare a un mondo prospero, avanzato, democratico e pacificato. Purché lo si liberi dai lacci dello Stato.

Ma su questa prospettiva ci sono ormai tre macigni. Innanzitutto l’ecosistema. Diciamocelo francamente. Le possibilità che il capitalismo si corregga da sé, attraverso i meccanismi di mercato, riuscendo a evitare la catastrofe ambientale in tempo utile, appaiono piuttosto basse. Per evitare che la crescita economica metta a repentaglio la tenuta dell’ecosistema più di quanto non abbia già fatto, e quindi la vita del Pianeta (cioè la nostra stessa vita), è necessario l’intervento pubblico: una politica che sappia indirizzare le imprese verso un progresso tecnologico a basso impatto ambientale, e anche orientare le scelte dei consumatori. Non solo. Almeno in democrazia, questi interventi devono avere il sostegno dei cittadini: per questo non basta alzare le tasse, sulle bibite gasate o sul carburante (ricordate i gilet gialli?), bisogna compensare i perdenti della transizione ambientale. Bisogna fare politiche espansive.

Il secondo problema sono le disuguaglianze. Nei paesi avanzati, negli ultimi trent’anni sono aumentate (sul quanto, le stime divergono). Di fatto sono state frenate solo dalla spesa sociale, cioè dal welfare state, almeno dove è rimasto. Sono poi cresciute, e forse ancora peggio proprio da una prospettiva liberale, le disuguaglianze di opportunità, ad esempio per l’accesso all’istruzione. Tutto ciò ha conseguenze molto serie anche per la democrazia, la quale non a caso resiste un po’ meglio proprio nelle storiche socialdemocrazie europee. Vista in questa luce, si può ben dire che il neo-liberismo ha contribuito a scavare la fossa al liberalismo, cioè alla democrazia liberale. Altro che inveramento! Rischia di causarne la fine.

Terzo. Le nuove potenze economiche non si stanno aprendo alla democrazia e ai diritti. Al contrario (si guardi all’India, al Brasile). Il capitalismo di mercato mostra di sapersi accordare benissimo con le autocrazie: l’esempio più lampante è Dubai, ma quello più significativo è la Cina. Anche da questo punto di vista il neo-liberismo, la cui etica si fonda sull’esaltazione dell’arricchimento individuale, rischia quindi di rivelarsi la tomba del liberalismo: i diritti dell’uomo, messi in secondo piano, non rientrano dalla finestra una volta ottenuto il benessere economico, ma vengono semplicemente accantonati o sono addirittura d’intralcio, nella retorica dei nuovi autocrati. Una retorica che riecheggia ormai anche in Occidente, come ben sappiamo.

Di fronte al suo fallimento storico, come ha evidenziato Fabrizio Barca una parte almeno del pensiero neo-liberale preferisce l’autoritarismo, a una seria redistribuzione delle ricchezze. Si tratta per certi aspetti di un ritorno alle origini, basti pensare a Pinochet. Meno noto è che già negli anni Venti e Trenta, in Austria, il padre del neo-liberalismo Ludwig von Mises preferiva Dollfuss e Mussolini, ai socialdemocratici.

Ma in quest’alleanza con la destra autoritaria si compie il definitivo tradimento del liberalismo. Il liberalismo è infatti una filosofia politica fondata sui diritti dell’uomo (fra cui certo anche la proprietà privata, ma non solo): incontrandosi con il socialismo riformista, dopo la seconda guerra mondiale ci ha «regalato» le società più prospere, libere e democratiche di tutta la storia umana (contrariamente a quel che temevano von Mises e Hayek).

Ancor più oggi, i grandi ideali dell’umanesimo liberale si ritrovano non certo nei dogmi fallimentari del neo-liberismo, ma nel liberalismo progressista, nella sua naturale evoluzione che porta alla simbiosi con il pensiero socialista e ambientalista: una politica nuova che mette al centro l’ambiente, la lotta alle disuguaglianze, i diritti umani allargati. In un contesto più difficile, certo, perché necessariamente globale. Ma è questo il campo alternativo al sovranismo, cui spetta di difendere oggi – nel mondo – le società aperte, e la possibilità di uno sviluppo economico e tecnologico che porti alla piena affermazione dei diritti dell’uomo, piuttosto che a scenari distopici.


Condividi

0 commenti