Dieci anni per rilanciare la crescita sostenibile e inclusiva

da | Ago 1, 2023 | Articoli, News | 0 commenti

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di Andrea Roventini

Contributo pubblicato in:
A. De Luca, C. Maiolini, R. Sanna (a cura di), 2030. I dieci anni che hanno cambiato il mondo. Un manuale per sindacalisti audaci, Roma, Futura editrice, 2023.

Il 2022 appena concluso è stato l’anno più caldo per l’Europa da quando si registrano i dati. È l’ennesimo segnale che l’emergenza climatica ci sta investendo in pieno con danni economici e sociali catastrofici. Purtroppo, una larghissima maggioranza della classe politica ignora il problema, con il sostegno entusiasta dei mezzi d’informazione, fino al punto di sostenere un maggiore ricorso a fonti fossili attraverso nuovi approvvigionamenti internazionali di gas e a nuove trivellazioni marine, nonostante le esigue riserve italiane (Barazzetta e Roventini, 2022). Considerando che la crisi climatica colpirà un Paese stremato che non cresce da decenni, con disuguaglianza e povertà in crescita e livelli record di debito pubblico, sembra di assistere all’ultima patetica esibizione dell’orchestra del Titanic.

Come indicato dai recenti report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC, 2022) dell’ONU e dell’International Energy Agency (IEA, 2021) siamo ancora in tempo per cambiare le cose, ma il tempo si sta esaurendo rapidamente: per contenere l’aumento della temperatura a +1,5 C – soglia fissata dalla comunità scientifica per contenere i danni del cambiamento climatico – è necessario tagliare le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. Questi obiettivi sono una sfida formidabile per l’economia, perché ne richiedono una trasformazione radicale. Ma la buona notizia è che la politica economica necessaria per azzerare le emissioni inaugurerebbe una nuova era di sviluppo sostenibile, inclusivo, caratterizzato dall’indipendenza energetica (Stern, 2022).

Per l’Italia si tratta di un’opportunità di crescita straordinaria per uscire dalle crisi che l’attanagliano da molti lustri, degradando incessantemente l’economia e lacerando il tessuto sociale. Non c’è quindi nessun conflitto tra le politiche per la decarbonizzazione dell’economia e lo sviluppo economico sostenibile, come predicato soventemente nei mezzi d’informazione italiani, ma, al contrario, gli oppositori della transizione verde stanno condannando il Paese ad un declino economico irreversibile.

Se dunque i prossimi dieci anni sono fondamentali per la lotta al cambiamento climatico e per rilanciare la crescita sostenibile e inclusiva dell’Italia, che cosa bisogna fare? Innanzitutto, va indicato cosa non va fatto: non si può lasciare la lotta al cambiamento climatico al mercato. Come la pandemia del COVID19, l’emergenza climatica è assimilabile a una guerra dove gli interventi pubblici non possono essere assoggettati ad analisi costi-benefici in cui sovente gli economisti si baloccano (sic!). Tali analisi non funzionano in un’emergenza caratterizzata da impatti climatici futuri tanto incerti quanto estremi, da possibili reazioni a catena irreversibili come lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, e dove il progresso tecnologico ha un ruolo fondamentale per risolvere la crisi. Lo Stato non può quindi limitarsi ad interventi amici del mercato come l’introduzione di una carbon

tax e l’erogazione a pioggia di sussidi alle imprese, ma deve avere un ruolo attivo, perché, come scriveva Keynes (1926): “l’importante per il governo non è fare le cose che gli individui stanno già facendo, e farle un po’ meglio o un po’ peggio, ma fare le cose che al presente non vengono fatte per niente”.

L’emergenza climatica impone che lo Stato abbia un ruolo attivo nella creazione di nuovi mercati e industrie e nello stesso sviluppo tecnologico. Ciò richiede sia interventi pubblici di command-and- control, che impongano limiti stringenti alle emissioni e standard ambientali rigidi, sia politiche industriali e d’innovazione verdi. Un’obiezione spesso avanzata contro questo ambizioso piano di decarbonizzazione è che lo Stato non saprebbe scegliere o prenderebbe decisioni sbagliate. È un’argomentazione capziosa perché i passi da compiere per la transizione verde sono ben indicati dai report pubblicati negli ultimi anni da IPCC, IEA ed Energy Transition Commission. Per esempio, la strategia indicata dal rapporto Net Zero 2050 dell’IEA è chiara e radicale: elettrificare il più possibile l’economia e decarbonizzare velocemente la produzione d’energia investendo massicciamente in energie rinnovabili. Per giungere a zero emissioni nette entro il 2050, il rapporto indica di: i) non sfruttare nuovi giacimenti di gas, petrolio e carbone; ii) cessare la vendita di caldaie a gas entro il 2025; iii) raggiungere zero emissioni nette nel settore elettrico entro il 2035; iv) vietare la vendita di autovetture con motore a combustione dal 2035; v) investire in rinnovabili per coprire il 90% circa del fabbisogno elettrico nel 2050, con il solare che sarà la fonte più importante di energia.

Queste indicazioni portano al secondo punto fondamentale quando si analizzano le politiche per decarbonizzare l’economia: non esiste la neutralità tecnologica, ma, dati alla mano, ci sono tecnologie giuste e sbagliate. L’evidenza empirica, citata anche nell’ultimo rapporto dell’IPCC (2022), mostra inequivocabilmente il ruolo chiave delle energie rinnovabili nell’azzeramento emissioni, grazie all’impetuoso progresso tecnologico che dal 2010 ha ridotto dell’85% il costo del solare, eolico e delle batterie. All’opposto, a causa degli alti costi e i lunghi tempi di costruzione delle centrali, il nucleare avrà un ruolo sempre più marginale, coprendo il fabbisogno globale di elettricità per meno del 10%, concentrato nei Paesi emergenti. Infatti, dopo più di 13 anni la centrale di Olkiluoto-3 in Finlandia deve ancora entrare in funzione con tempi e costi triplicati, mentre il governo francese ha dovuto nazionalizzare EDF per le enormi perdite causate dal nucleare. Anche l’applicazione delle tecnologie CCS, per catturare e immagazzinare la CO2 prodotta dalle fonti fossili, appare limitata a causa dei costi elevati e del basso potenziale di riduzione delle emissioni, come indicato dal report dell’IPCC (2022). Non a caso, la Commissione Europea ha bocciato il progetto CCS dell’ENI nel mare Adriatico inserito dal governo italiano nel PNRR.

Se la neutralità tecnologica è una bufala, le politiche industriali e d’innovazione possono essere diretti verso le tecnologie di decarbonizzazione che funzionano o che hanno un alto potenziale di sviluppo, secondo strategie chiaramente presentate da rapporti di autorevoli istituzioni internazionali. Ma questa nuova stagione di interventismo pubblico porterà ad uno statalismo d’antan che spesso è a torto considerato come il padre dei problemi dell’Italia? La risposta è perentoriamente negativa. C’è bisogno di uno Stato Innovatore (Mazzucato, 2014) che crei rapporti simbiotici tra le imprese pubbliche e private. E questo nuovo ecosistema d’innovazione porterebbe innegabili vantaggi alle imprese private e ai lavoratori.

Partiamo dalle prime. Un lavoro recente di Sbardella et al. (2022) mostra che seppur con marcate differenze regionali, le imprese italiane sono ben posizionate a livello europeo nelle tecnologie per la transizione verde (“green capabilities”) che comprendono ad esempio le energie rinnovabili e

l’economia circolare. La buona competitività delle imprese italiane può essere sfruttata nei processi di “reshoring” che secondo l’IEA porteranno alla rapida espansione delle catene europee del valore in tecnologie chiave, tra cui le batterie, i pannelli fotovoltaici, gli elettrolizzatori, e nella decarbonizzazione dei settori “hard-to-abate” come l’acciaio, il cemento, la plastica e la mobilità. Ci sono enormi sinergie da sfruttare tra le grandi imprese a controllo pubblico e lungo la loro catena di subfornitura. Queste imprese che sono sopravvissute alle nefaste svendite delle privatizzazioni sono leader tecnologiche di mercati ad alto potenziale di sviluppo. Alcuni esempi (non esaustivi): ENEL sta costruendo in Sicilia una la più grande fabbrica di pannelli solari di ultima generazione in Europa e si appresta a fare altrettanto negli USA; sempre ENEL tramite la controllata ENDESA Portugal sta costruendo una centrale che combina energia solare, eolica, capacità di accumulo ed elettrolizzatori per l’idrogeno verde; Saipem ha capacità di realizzazione dei parchi eolici off-shore flottanti di cui ha bisogno l’Italia; Terna sta investendo nei collegamenti elettrici sottomarini necessari per collegare Sardegna e Sicilia e la Tunisia alla penisola italiana, creando un hub per la condivisione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Nella siderurgia, si potrebbe contribuire alla soluzione della crisi dell’ILVA investendo nell’acciaio verde prodotto con l’idrogeno, seguendo l’esempio del progetto svedese Hybrit a cui partecipano imprese pubbliche e private. Purtroppo, il settore automobilistico soffre della scelta miope di FCA di non investire nell’elettrico e dell’assenza totale di politica industriale, ma nella mobilità pubblica ci sono esempi positivi, come Industria Italiana Autobus. Per sfruttare le enormi sinergie tra le grandi imprese partecipate pubbliche è necessario che lo Stato abbandoni una visione da “cassettista”, volta solo ad incassare copiosi dividendi, e promuova cooperazioni tecnologiche e produttive che portino ricadute nelle diverse filiere (si veda la proposta numero 3 del Forum Disuguaglianze e Diversità; AA.VV 2020).

La decarbonizzazione dell’economia fa bene anche ai lavoratori perché crea nuovi posti di lavoro con migliori retribuzioni. Nello scenario a zero emissioni nette, l’IEA (2022) stima che gli occupati nel settore elettrico e nell’industria manifatturiera legata all’energia aumenteranno da 65 a 90 milioni da qui al 2030, con l’80% dei posti di lavoro nelle energie pulite. Lo studio empirico di Curtis e Marinescu (2022) trova che i lavori verdi, legati all’energia eolica e solare, pagano stipendi superiori del 21% alla media e tale premio salariale è perfino superiore per le occupazioni che richiedono un basso livello d’istruzione.

Le politiche d’innovazione e industriali di uno Stato Innovatore verde porterebbero alla nascita di nuove imprese e aumenterebbero la competitività di quelle esistenti, favorendo la loro penetrazione in nuovi settori e mercati che si caratterizzano per un maggiore valore aggiunto. Naturalmente la transizione verde non sarà indolore, perché l’impetuoso progresso tecnologico avverrà con processi di distruzione creatrice schumpeteriani e profondi cambiamenti nella struttura dell’economia. Per esempio, i nuovi posti di lavoro nell’industria manifatturiera verde devono essere creati investendo nelle filiere locali per ridurre la dipendenza dall’Asia. Secondo le stime dell’IEA (2022), il 60% dei posti di lavoro nel settore automobilistico sarà ricollocato verso produzioni di auto elettriche e batterie che potrebbe essere ubicate in aree geografiche diverse da quelle attuali.

Perché la transizione sia giusta, le politiche industriali devono essere accompagnate da procedure per gestire le crisi aziendali sfruttando le opportunità offerte dalla decarbonizzazione e da processi di formazione per i lavoratori. Un esempio da replicare su vasta scala è il piano di rilancio della ex GKN (AA.VV. 2022) che ha visto la partecipazione di lavoratori e ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna e del centro di competenza industria 4.0 Artes. Il piano prevede di rilanciare l’impresa riposizionandola nella mobilità sostenibile e nelle energie rinnovabili, insieme ad una vera attività

di industria 4.0 che prevede l’ingegnerizzazione di prototipi per le imprese di Artes e una formazione per tutti i lavoratori della zona.

La formazione dei lavoratori è fondamentale per il successo della transizione verde sia per riqualificare chi lavora in settori in declino sia per formare le figure professionali necessarie alle imprese per costruire le catene di valore nelle energie pulite (Popp et al., 2022). Oltre a queste politiche attive del lavoro, sono necessarie riforme strutturali “buone” per irrigidire il mercato del lavoro al fine di sostenere la formazione e l’accumulazione di capitale umano necessarie per i nuovi impieghi nei settori verdi. Si tratta quindi di capovolgere le politiche per la flessibilizzazione del mercato del lavoro i cui effetti disastrosi sono stati mostrati dagli studi di ricercatori del Fondo Monetario Internazionale (Hoffmann et al., 2021) e di Banca d’Italia (Daruich et al., 2022), che non possono certo essere accusati di essere filo-sindacati. Le riforme strutturali “buone” per irrigidire il mercato del lavoro devono prevedere l’introduzione per legge di un salario minimo di importo non basso, l’eliminazione dei contratti pirati, la regolamentazione stringente dei contratti a termine come in Spagna.

Tra economisti si è soliti dire che non esistono pasti gratis. La transizione verde richiede un aumento degli investimenti pubblici in energia pulita che secondo l’IEA (2022) devono salire di circa due punti percentuali entro il 2030. Il costo della decarbonizzazione è quindi modesto e nel lungo periodo si ripaga da solo attraverso il rilancio della crescita economica, che in Italia langue da decenni. Le risorse comunque necessarie potrebbero essere reperite rendendo permanente il piano Next Generation EU, con l’obiettivo di decarbonizzare l’economie europee per perseguire l’autonomia energetica. Non potendo aspettare i tempi lunghi dell’Unione Europea, il piano potrebbe essere subito finanziato tassando gli extra-profitti delle grandi imprese fossili e la ricchezza dei cittadini più abbienti che sono responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra. Uno studio recente (Chancel, 2021) mostra infatti che le emissioni del 50% più povero della popolazione in USA, UK, Germania e Francia si è ridotto rispetto al 1990 ed è già in linea con gli obiettivi del 2030, mentre i gas serra prodotti dal 10% più ricco sono cresciuti enormemente.

I prossimi dieci anni sono fondamentali per cambiare l’Italia, decarbonizzando l’economia mentre si rilancia una crescita sostenibile ed inclusiva che porterà vantaggi innegabili ai lavoratori e alle imprese. Eppure, a differenza degli altri Paesi sviluppati, la discussione di questo concreto scenario di sviluppo è assente dal dibattito politico e dai mezzi d’informazione. Sembra addirittura che l’Italia stia facendo di tutto per perdere la sfida dell’emergenza climatica. Come mai? Ritengo che ci sia una sparuta ma potente minoranza che persegua interessi e profitti di breve periodo, incurante dell’incombente stagnazione economica fossile causata da questo immobilismo. La lotta di classe non è mai cessata e nei prossimi dieci anni bisognerà combattere per raggiungere un futuro prospero in cui la completa decarbonizzazione del Paese porti ad uno sviluppo condiviso per tutti i membri della società.

Bibliografia

– AA.VV. (2020), “Missioni strategiche per le imprese pubbliche italiane”, Forum Disuguaglianze e Diversità, https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/07/rapporto- imprese-pubbliche.x61577.x84368.pdf
– AA. VV. (2022), Un piano per il futuro della fabbrica di Firenze, Fondazione G. Feltrinelli, Milano, https://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2023/01/Finale_Futuro-per-la-fabbrica-di-Firenze.pdf – Barazzetta S. e Roventini A. (2022), “Indipendenza energetica e crescita economica sostenibile”, il Mulino 2/22.

– Chancel L. (2022), “Global carbon inequality over 1990–2019”, Nature Sustainability 5, 931-938.
– Curtis M. E. e Marinescu I. (2022), “Green Energy Jobs in the US: What Are They, and Where Are They?”, NBER Working Paper No. 30332.
– Daruich D., Di Addario S. e Saggio R. (2022), “The effects of partial employment protection reforms: evidence from Italy”, Banca d’Italia Temi di discussion No. 1390, https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/temi-discussione/2022/2022- 1390/index.html?com.dotmarketing.htmlpage.language=1
– Hoffmann E. B., Malacrino D. e Pistaferri L. (2021), “Labor market reforms and earnings dynamics: the Italian case”, International Monetary Fund Working Paper No. 2021/142, https://www.imf.org/en/Publications/WP/Issues/2021/05/20/Labor-Market-Reforms-and- Earnings-Dynamics-the-Italian-Case-50247
– IEA (2021), Net Zero by 2050, IEA, Paris, https://www.iea.org/reports/net-zero-by-2050.
– IEA (2022), World Energy Outlook 2022, IEA, Paris, https://www.iea.org/reports/world-energy- outlook-2022
– IPCC (2022), Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change, Contribution of Working Group III to the 6th Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press, Cambridge, UK and New York, USA, https://www.ipcc.ch/report/sixth-assessment- report-working-group-3/
– Keynes J. M. (1926), The end of Laissez-Faire, Hogarth Press.
– Mazzucato M. (2014), Lo Stato Innovatore, Laterza
– Popp D., Vona F., Gregoire-Zawilski M. e Marin G. (2022), “The next wave of energy innovation: Which technologies? Which skills?”, NBER Working Paper No. 30343.
– Sbardella A., Barbieri N., Consoli D., Napolitano L., Perruchas F. e Pugliese E. (2022), “The regional green potential of the European innovation system”, European Commission, JRC124696, https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC124696
– Stern N. (2022), “A time for action on climate change and a time for change in economics”, The Economic Journal, Volume 132, 1259-1289.


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